28.11.05

La novita'



Salve a tutti.
anche qui, con anni di ritardo rispetto all'Italia (una volta tanto) sono arrivati i pendolini (intesi come treni). Senza voler scavare nelle implicazioni di carattere trasportistico degli stessi, mi limitero' a dire che non riesco a giocare con la PlayStation Portatile perche' mi viene da vomitare. Quindi come sto impiegando questa oretta e mezza che mi ci vuole per arrivare a birmingham? Rivedendo il mio blog. La prima novita' e' che ne ho rinfrescato la veste grafica. Vi piace? La seconda (e non in termini di importanza) innovazione e' che d'ora in avanti il blog sara' parte del mio nuovo sito, www.gangemi.co.uk. Siccome non mi azzardo ad invitarvi a discutere l'argomento (me so' abbastanza rotto), entra in gioco questo fantastico piccolo questionario che segue la mia elucubrazione odierna. Ho delle idee per il sito, e per cosa mi piacerebbe farci - pero' vorrei capire un po' meglio le cose prima di fare alcune scelte a lungo termine. Voi, miei amici storici o visitatori occasionali, che ci fate con internet? come lo usate? Quindi se avete qualche minuto (o anche solo qualche secondo) per rispondere alle domandine che seguono ve ne saro' eternamente ed infinitamente grato. I risultati verranno pubblicati in uno dei blog a venire.

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1.11.05

PPP



Pasolini moriva trent'anni fa. Qualche giorno fa se n'e' andato, con meno clamore, anche Sergio Citti, che ho avuto la fortuna di incontrare quando se ne andava a pesca con la sua barchetta dalla darsena di Fiumicino. E siccome neanch'io mi sento troppo bene, e sono a casa a letto con l'influenza, vi giro questo articolo di Giovanna Zucconi dalla Stampa di oggi, che mi sembra meritorio per la poca retorica. Prima dell'articolo, vorrei solo citare una frase che Pasolini scrisse nel 1962 "L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo."


PIER Paolo Pasolini è una statua. È una colossale statua di gesso, cinque metri di altezza per cinquemila chili di massa biancastra, che compare in un campo a tre ragazzi, due scappano e il terzo invece si arrampica, penetra nel cervello del poeta e lì si ferma a riposare, finché la testa di PPP non esplode: così in un video di Paolo Chiasera, artista bolognese, nato nel 1978. Oppure è un bronzo trasportato in autostrada su un'Ape Piaggio, una statua metallica che cade, si ammacca, viene rialzata e portata via lontano: è un'immagine di Federico Zeri rievocata, o riesumata, da Nicola Lagioia, scrittore, nato nel 1973.

PPP: Pasolini Per i Posteri. Mentre la grancassa mediatica celebra il trentennale della morte (avvenuta nella notte fra il 1° e il 2 novembre 1975), chi è Pier Paolo per chi non l'ha vissuto da vivo, per chi è nato quando lui moriva? O, piuttosto: che cosa è? Un'effigie, un'icona, un monumento. «Tutto quello che un giovane scrittore di romanzi deve fare», ha scritto recentemente Nicola Lagioia in occasione di un'ennesima polemica postuma Pasolini-contro-Moravia (troppo clamore sul primo, troppo oblio sul secondo), «è affondare i dentini nel marmo delle statue, succhiare il sangue dei grandi del passato se ne ha forza, prendere quello che gli serve e gettare via il resto, in silenzio ma con passione, pervicacia, persino con cinismo. I semidei in questione, riconoscendo in questa pratica crudeltà e disperazione in tutto simile alla loro, non potranno non sorridere benevoli».
Marmo, bronzo, gesso, cemento. Materiale inorganico, eppure metabolizzato con vigore e catapultato verso il futuro. The Following Day, Il giorno dopo, è il titolo del video in 16/9 di Paolo Chiasera, cinque minuti di visionarietà proiettati a Palazzo Cavour a Torino per la mostra Il bianco e altro e comunque Arte. Pasolini, spiega l'autore, «è un'apparizione, un'enorme statua da cui escono fiamme altissime (come un'eco di Petrolio). Tre i ragazzi davanti ai quali si materializza nella campagna bolognese, così come tre erano forse le persone che l'hanno ucciso all'Idroscalo di Ostia. Un'immagine che crea un orifizio mentale, attraverso il quale uno dei tre entra nel cervello di Pasolini». Ma perché proprio lui? «Perché è un monumento dei nostri giorni, un personaggio fuori dai partiti del quale ho, abbiamo, memoria: ma una memoria sentimentale».

Pasolini icona. O Pasolini feticcio: «La sua morte non può non impressionare, è la morte perfetta per creare un feticcio, ucciso da uno dei suoi ragazzi di vita, è un cerchio che si chiude», dice Lagioia. «Senza confondere le poetiche, che sono diversissime: la morte di Pasolini è come la morte di Kurt Cobain, il divo del rock. Scattano le stesse dinamiche sacrificali». E il complotto, l'ipotesi o per molti la certezza che Pier Paolo non l'abbia ucciso soltanto Pino Pelosi? «Non credo che si possa applicare alla sua morte quel celebre “io so” che lui pronunciò sulle stragi di Stato, non possiamo sapere che è stato ammazzato da un gruppo di fascisti perché siamo intellettuali, altrimenti saremmo legittimati a leggere per ipotesi tutta la storia italiana».

Il feticcio, l'icona, la memoria tramandata in maniera retorica, l'immagine santificata, il Pasolini da memorial day: tutto utile ma soltanto come specchietto per le allodole, ripete Lagioia che in Occidente per principianti ha demolito il giornalismo-spettacolo, purché poi si parli di quello che conta davvero. E quello che conta davvero è la letteratura, la questione estetica. Cioè, per lui, soprattutto il Pasolini poeta.

E come ha conosciuto Pasolini, il poeta e il corsaro un romanziere che all'epoca dell'omicidio all'Idroscalo aveva due anni, e che è cresciuto a Bari in una famiglia in cui a stento entravano i quotidiani? «Memorie dirette zero, memorie di seconda mano o legate ai luoghi neppure, fossi nato a Roma magari mi sarei invece imbattuto nel barista del Pigneto che ha visto girare Accattone, e comunque anche quella sulla Roma pasoliniana è ormai soltanto retorica, continuano a celebrarla ma non esiste più, le borgate non esistono più, sono dei non-luoghi con Ikea e le multisale. Niente luoghi, niente incontri: rimangono soltanto (soltanto?) i libri. «Ero un pazzo che frugava nelle librerie, e frugando mi sono imbattuto in un'antologia poetica peraltro scadente, ho letto qualche verso di Pasolini e ho pensato: "oh, però! È bravo!", senza sapere chi fosse. Poi di libro in libro, leggendoli non in ordine cronologico, senza essere contemporaneo alla loro uscita, mi sono affezionato al Pasolini poeta, tutto, e al Pasolini corsaro e "luterano", per niente al romanziere. Petrolio è sintomatico per capire la disperazione con cui leggeva l'Italia, ma nel romanzo prima di Pasolini metto Gadda, Bufalino, Busi, Arbasino».

E, per una volta, c'è anche la televisione, a costruire la memoria di uno scrittore: «La Rai mandava vecchi filmati, mi si è impressa la memoria, non di prima ma forse di quinta mano, di Pasolini insieme a Ezra Pound, Pasolini che legge Pound ("quello che veramente ami è la tua vera eredità") mentre Pound tace. E poi Accattone, che non è un film neorealista...».

Fotogrammi d'epoca, per chi è nato e scrive in un'altra epoca. Tutti, destra e sinistra, dice Lagioia, cercano di tirare dalla loro parte Pasolini, «forse la figura del secondo Novecento più strumentalizzabile», mentre i nostalgici sacerdoti del culto lo incrostano di retorica («Davvero a Roma non è successo altro dal '75 in poi?»): ma la sua grandezza sta proprio nella sua contraddittorietà, irriducibile alle ideologie. Per questo, «bisognerebbe semplicemente dire chi era»: semplicemente, leggerlo, «staccando con lo scalpello dell'ostinazione frammenti di sapienza e guano dal monumento». Non celebrazioni ma elaborazione del lutto e confronto fecondo, fuori dagli anniversari. Non è una statua, Pasolini.