23.5.06

Padri e figli



Di seguito un articolo di Gad Lerner, divertente nella sua drammaticita'. E comunque, per vostra informazione, di tutta questa storia almeno qui non si e' stupito nessuno...


Chiara figlia di Cesare. Alessandro figlio di Luciano. Davide figlio di Marcello. Ma prima ancora Francesca figlia di Calisto. Andrea figlio di Sergio. Riccardo figlio di Gianmarco. Giuseppe figlio di Ciriaco... Noto una certa reticenza in giro a denunciare come riprovevole, sebbene legale, l'esibizione di potere dei figli prestanome riuniti nella società d'intermediazione sportiva Gea World. Geronzi, Moggi, Lippi, Tanzi, Cragnotti, Calleri, De Mita. Magari pure con una spruzzatina di Carraro (e a fare buon peso la seconda figlia di Geronzi, Benedetta, che lavorava in Figc presso Carraro padre, cui bontà sua il gruppo Capitalia aveva destinato la presidenza della propria banca d'affari).

Prestanome? Come mi permetto? E come faccio a dimostrarlo? Ufficialmente sono tutti giovani intraprendenti che si guardavano bene dal coinvolgere il papà nei loro affari. È solo una coincidenza che gli illustri genitori in questione a loro volta gestissero business incrociati fra Capitalia, Cirio, Parmalat, Roma, Lazio, per fermarci all'ufficialità.

Lungi dal patirne un danno alla reputazione, da anni padri e figli ostentavano la propria contiguità. Esibirla, infatti, procurava loro vantaggi evidenti, sotto forma di timore riverenziale diffuso nell'ambiente.
Sembra quasi che nessuno in Italia possa permettersi di contestare a un padre il sacrosanto diritto di sistemare il figlio. Anzi. Quando Luciano Moggi ormai bersaglio dei mass media implora: "Prendetevela pure con me, ma Alessandro non c'entra nulla, lasciatelo in pace", siamo portati ad apprezzare il suo nobile intento quasi che l'Alessandro in questione fosse un povero minorenne incapace di intendere e di volere. Non un uomo adulto dotato di autonome responsabilità.

E ancora. Nel 2003, quando le indagini sui crac di Cirio e Parmalat coinvolsero il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, nessuno fra gli illustri membri del patto di sindacato di quella banca avanzò rilievi di opportunità per l'insolita compagnia d'affari in cui sedevano riuniti i figli dei protagonisti degli scandali. L'osservazione sarebbe parsa incongrua, esulando dalla materia delle indagini. Gli intrecci familistici da noi sono ridimensionati a mere questioni di gusto, debolezze genitoriali meritevoli d'indulgenza.
Eppure mi chiedo quale forma di amore paterno sia questa che trasforma i figli in longa manus della propria influenza nell'establishment. E viceversa, perché a tanti giovani già comunque benestanti riesca così facile accettare l'idea, sgradevole per una donna o un uomo d'onore, di accreditarsi solo grazie ai privilegi del cognome che conta.

Posso immaginare le obiezioni. Chi è senza peccato scagli la prima pietra! Le redazioni dei giornali (e più ancora dei telegiornali) non sono forse costellate di firme che si tramandano di padre in figlio? La prole degli avvocati, dei notai, dei medici non eredita forse massicciamente studi professionali bene avviati da generazioni? E la consuetudine di assumere i figli dei dipendenti non è stata contrattata dagli stessi sindacati di categoria, alle poste come alle ferrovie?
Niente di nuovo sotto il sole, già i sociologi e gli storici di matrice anglo-sassone hanno dovuto coniare la formula del familismo amorale per raccontare il Bel Paese.

Ma se permettete la vicenda Gea straripa dalle consuetudini genitoriali della nazione. Perché un conto è cedere il proprio posto al figlio, magari come incentivo a un pensionamento anticipato, altra cosa è posizionare la prole strategicamente nei gangli delle relazioni che contano, dentro quella che Alessandro Penati chiama "l'economia-spettacolo": un reticolato collusivo che protegge il suo potere utilizzando l'effetto mediatico della celebrità. Gli amici degli amici, i figli dei padrini, più o meno come nella mafia.

Gli effetti di tali comportamenti sulla chiusura e sul declino dell'establishment, sono evidenti. Ricordate il più sincero e illiberale degli allarmi berlusconiani? "La sinistra vuole che i figli dei professionisti siano uguali ai figli degli operai". Qui lo ritroviamo applicato al suo massimo grado: i figli dei soliti noti si mettano d'accordo fra loro al fine di perpetuare la casta d'appartenenza. Libero mercato? Concorrenza? Propensione al rischio? Uguaglianza di opportunità? Selezione dei migliori? Chiacchiere buone solo per anglofili da strapazzo. Siamo o non siamo il Paese che va nel panico di fronte all'idea di una tassa di successione sulle grandi eredità? Siamo o non siamo, fra le maggiori economie del pianeta, quella a minore tasso di mobilità sociale, rasentando l'immobilismo? Vale la pena di ricordare che l'Italia dei figli di papà della Gea World è anche la nazione in cui il 71 per cento dei figli degli operai sono destinati a fare gli operai. Mentre un'ascesa sociale significativa riguarderà solo un misero 6 per cento fra questi milioni di giovani.

Se tutto ciò spiega la reticenza con cui affrontiamo i casi più plateali di familismo amorale - siamo abituati a considerare lecito quel che all'estero viene come minimo guardato con sospetto - è soprattutto l'aspetto educativo e culturale del fenomeno a lasciare interdetti.

Cosa insegna ai suoi figli, chi ce l'ha fatta? Il modello resta sul serio quello pseudo-aristocratico del ballo delle debuttanti dove ci s'incontra in cerca del "partito giusto", solo col denaro al posto del lignaggio, e magari con l'aereo privato per trasportare Ilaria D'Amico a cena a Parigi?

La narrazione sociologica di Giuseppe De Rita sul passaggio generazionale nelle aziende familiari era intessuta di ben altre controversie. Il padre che si era fatto da sé mandava a studiare il figlio, ma eccolo poi disperato di fronte al rampollo che magari si presentava in fabbrica con la Ferrari, pronto a scappare via il venerdì pomeriggio per il week end. Ora invece sembra che i padri predichino la collusione al posto dell'eccellenza. Architettano salottini buoni, anticamere del potere dove fare esperienza e accumulare denaro in attesa della cooptazione nei patti di sindacato per adulti.

Poveri figli educati all'intrallazzo. Alcuni li abbiamo visti posare sorridenti a Roma come a Milano su appositi rotocalchi, magari con la scusa di iniziative benefiche - Geronimo, Barbara, Lapo, Jonella, Gilda - incaricando le didascalie pop di valorizzare l'eredità casuale dei cognomi importanti. Quanti di loro avranno la forza di respingere l'afflato soverchiante di un amore paterno che li incoraggia agli affari facili?

Di fronte all'esplosione dello scandalo Gea anch'io, come genitore, mi scopro portato a considerare vittime i figli di papà famosi. Ma non certo vittime della magistratura o dei mass media. Già sapevamo di quanti danni possano prodursi all'interno di un nucleo familiare, e non solo nelle fasce deboli della società. Chissà che un giorno il nuovo ministero assegnato a Rosy Bindi non debba tutelare pure queste giovani vite stritolate dal privilegio. O forse, vista la fascia di reddito, potremo accontentarci di un buon psicanalista?

Da repubblica.it

4 comments:

Anonymous said...

In effetti nel nostro Paese la mobilità sociale è appannaggio ormai unico di Un Posto al Sole (peraltro scenneggiata da sociologi in erba),dove un portiere di condominio uomo sposa una chirurga donna. Praticamente una coppia di eroi!

Anonymous said...

non si deve mai darsi per sfigati...errore grossolano...se vai su un campo di regata e si ammoscia il vento e per ventura esclami "sono arrivato io e guarda cosa è successo..." sei destinato al pubblico ludibrio in eterno. io però lo dico, oggi non me ne frega il famoso cazzo (espressione greca che esprime stupore e meraviglia): sò proprio sfigato! non me ne vogliano quelli più sfigati di me che pure esistono. io ero parte del salotto teoricamente buono, quello delle spinte e delle scalatine facili..invece con me non ha funzionato! invece di tirarmi su, mi ha sbattuto giù perfino sulle cose che ho prodotto con sudore ed ingegno! il che significa due cose: la prima l'ho già detta (per i distratti:sò sfigato); la seconda è che non mi sarei certo scandalizzato di un aiutino, anzi mi sembra sfiga il non averlo avuto...ach ach autocritica! come al solito il dipinto della nostra società è deprimente..e ne faccio anche parte.

Anonymous said...

Temo di non aver colto il nesso, ma mi sa che Carlo si doveva sfogare... il vero punto però è un altro: se fossimo stati figli di Geronzi, avremo rifiutato il posto di papà? Sinceramente, riterrei di no. Il punto direi è rimanerci nonostante tutto..

Freddy said...

Sicuramente il punto e'essere onesti, con se stessi innanzitutto e con gli altri, indipendentemente da chi si e', di chi si e' figli e dove si e' arrivati e come ci si e' arrivati... o no? (per estensione poi, quello che intendo dire e' che uno puo' anzi deve essere onesto abbastanza per riconoscere di non essere adatto o capace o dedicato ad una professione/persona/ideologia).

Tutto il resto e' noia.

E si' Carlo, tu oggi sei sfigato. Ma ricordati che i conti si fanno alla fine, e tra gli scarti e il rating favorevole so'sicuro che qualche posizione la recuperi... ;-)